Mercoledì 29 Agosto

Venezia 75
FIRST MAN (Il primo uomo)
Di Damien Chazelle
con: Ryan Gosling, Jason Clarke, Claire Foy, Kayl Chandler (135′ USA/ 2018)

L’autore di La La Land , Damien Chazelle apre questa 75ma Mostra del Cinema di Venezia portando in Concorso le vicende che videro la NASA negli anni ’60 arrivare al successo della missione Apollo 11. Il traguardo dello storico allunaggio è narrato attraverso la messa in scena della vita privata di Neil Armstrong e della sua famiglia. Le sfide tecnologiche ed ingegneristiche intraprese dal team coinvolto si contrappogono e giustappongono a quelle dei sentimenti in un clima sociale che esalta logica e ragione contro l’irrazionalità del cuore. Molto interessante il lavoro del regista dal punto di vista dell’ambiente sonoro (gran parte delle scene di tensione non reggerebbero senza l’ottimo lavoro sul sonoro). Il film rifugge il rischio dell’agiografia e i facili trionfalismi patriottistici (peraltro dietro l’angolo) per esplorare, piuttosto, territori più intimistici. Accoglienza piuttosto fredda alla prima proiezione del mattino.

Orizzonti
SULLA MIA PELLE
di Alessio Cremonini
con: Alessandro Borghi, Jasmine Trinca, Max Tortora, Milvia Marigliano (100’/ Italia; 2018)
Tratto da un reale fatto di cronaca, Sulla Mia Pelle ripercorre i sette drammatici giorni che trascorrono tra l’arresto e la morte di Stefano Cucchi, ragazzo di 31 anni accusato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti e deceduto in cella il 22 Ottobre 2009, per cause ancora non completamente accertate. La vicenda mette da subito in luce i limiti di un sistema burocratico miope, cui però tutte le figure coinvolte fanno ciecamente riferimento (spesso anche solo per poter dimostare di non essere implicate, qualora dovessero emergere complicazioni), in un continuo alternarsi di rispetto, speranza e sfiducia nelle Istituzioni. L’atmosfera di incertezza e crescente disperazione è sottolineata dal ritmo delle inquadrature, nè eccessivamente insistenti nella ricerca di un’emotività esasperata, nè superficiali per evitare di risultare “scomode”. Interessante il lavoro sulle luci che predilige i colori freddi, a caratterizzare come asettici tutti gli ambienti descritti, ad eccezione dell’appartamento dei genitori del protagonista. Si sottolinea positivamente l’utilizzo della soggettiva, tanto in campo visivo quanto sonoro. Silenzi importanti.

Biennale College – Cinema
ZEN SUL GHIACCIO SOTTILE
di Margherita Ferri
con Eleonora Conti, Susanna Acchiardi, Fabrizia Sacchi (Italia / 90’)

Zen è il soprannome di Maia, una ragazza che vive in un piccolo borgo dell’Abruzzo e che da sempre viene presa in giro a causa dei suoi atteggiamenti mascolini. Come quella di una normale adolescente la sua vita si divide fra scuola, sport, e un aiuto in famiglia. Sua mamma, infatti, gestisce un rifugio in montagna, ed è qui che Zen passa gran parte del tempo quando non è impegnata sul campo da hockey. Fa appunto parte della squadra maschile, ma è così brava da riuscire ad essere convocata nella nazionale femminile.
La giovane Maia si ritrova però a dover attraversare una crisi esistenziale, che la metterà a dura prova non solo nel rapporto-confronto con se stessa, bensì anche con gli altri; siamo in grado di percepire il disagio che prova attraverso la costante aggressività dei suoi atteggiamenti e la mancanza di serenità nelle relazioni interpersonali.
Gli ostacoli che Zen incontra vengono enfatizzati durante la rappresentazione attraverso le immagini di un ghiacciaio che si spacca, e anzi potremmo dire che i momenti di difficoltà nei quali incappa, giorno dopo giorno, vengono associati e comparati alle fasi della rottura del ghiacciaio stesso. Tale confronto non regge a parole, ma il contrasto fra il rumore emesso dalle crepe dell’iceberg e il silenzio assordante dell’ambiente circostante permettono allo spettatore di identificarsi pienamente in Maia e nel disagio che prova.
Quest’ultimo infatti emerge soprattutto tramite il silenzio, una costante del film; vediamo come le scene siano accompagnate da pochi dialoghi, molti vuoti sonori e parecchi paesaggi naturali, quelli montani. Fra l’altro la vastità delle aree rappresentate induce ad una riflessione quasi empatica nei confronti di Zen, che si ritrova spesso alla ricerca di risposte alle quali però sembra non riuscire ad arrivare.
L’isolamento che lei stessa crea attorno a sè, dovuto anche all’aggressività con cui si rapporta al prossimo, non le consente di rompere la corazza ‘da dura’ che indossa. L’armatura da hockey non aiuta, infatti, all’incontro con gli altri, ma anzi diventa una sorta di ‘difesa personale’, a cui Maia fa riferimento in maniera costante nei momenti di estrema difficoltà.
Nonostante la solitudine emergono due figure importanti nella vita della nostra protagonista: sua mamma e l’allenatore della squadra. È evidente come sia l’una che l’altro abbiano a cuore la ragazza, e sebbene non manchino gli screzi, e talvolta le incomprensioni, i due riescono in maniera inconsapevole ad aiutare Zen durante la crisi.
Sfortunatamente Maia non può ricevere l’aiuto del papà, venuto a mancare parecchi anni prima a causa di un incidente sportivo. Tale perdita influisce notevolmente sulla sua sfera relazionale, sommandosi al già presente disagio dovuto al senso di inadeguatezza che prova nel non trovare affinità coi coetanei e nel sentirsi prigioniera del suo corpo.
Nonostante ciò Zen continua a vivere la quotidianità seguendo la propria passione e cercando di lasciarsi alle spalle le risatine altrui. Solo in pochi riusciranno a capire che dietro l’apparente corazza si cela una ragazza sensibile, che cerca solamente il suo posto nel mondo.
Quello di Maia è un percorso lungo, un viaggio emozionale, di crescita personale, di formazione identitaria, di coraggio e di scelte.
Presentato alla 75esima Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Biennale College, il film seppure prodotto con budget limitato ed attori esordienti, offre interessanti spunti di analisi e riflessione senza mai cadere nel giudizio facile e scontato.