SHORT SUMMER – Nastia Korkia

Con: Maiia Pleshkevich, Yakov Karykhalin, Aleksandr Karpushin, Vesna Jovanović, Alexander Feklistov
(Germania, Francia, Serbia; 101′)

(Giornate degli Autori)

Katya, una bambina di otto anni, trascorre l’estate con i nonni nella campagna russa. In questo quadro di apparente idillio, il tempo sembra fermarsi, mentre gli adulti tacciono su ciò che sta accadendo intorno a loro. Sullo sfondo, una guerra silenziosa e invisibile distrugge vite umane, mentre i bambini continuano a crescere e le nuvole volano indisturbate nel cielo.

Nastia Korkia, regista di origine russa che vive tra la Germania e la Francia, torna al Lido dopo il suo documentario GES-2, presentato nel 2021. In questo film, che lei stessa definisce una “capsula del tempo”, la regista cerca di preservare la memoria fragile dell’infanzia, le sue luci e le sue ombre, e si interroga su come una società possa dimenticare e ignorare i problemi che la affliggono. Il film è una riflessione personale, ma anche un’espressione di speranza per la prossima generazione

Dal punto di vista tecnico, Short Summer si distingue per un approccio minimalista e simbolico. La macchina da presa è quasi sempre statica, con lunghe inquadrature che conferiscono al film un ritmo quasi contemplativo. Il senso di movimento è affidato unicamente ai personaggi in scena, con l’eccezione di una panoramica cruciale. Quest’unico, significativo, movimento di macchina sottolinea una minaccia imminente e l’intrusione del pericolo in un ambiente altrimenti idilliaco.

La guerra non è mai mostrata direttamente, ma è sempre percepibile attraverso elementi indiretti: treni carichi di mezzi militari e aerei che sfrecciano nel cielo, quasi indisturbati, mentre i bambini giocano a fare i posti di blocco, normalizzando la violenza in un modo inquietante. Questa indifferenza è ulteriormente rafforzata dal sonoro: la musica è quasi del tutto assente, lasciando spazio unicamente ai rumori della natura e, significativamente, a quelli dei mezzi di trasporto e al ronzio costante delle mosche, sempre presenti e udibili, che non infastidiscono mai i personaggi e diventano una potente analogia con la guerra stessa, un sottofondo fastidioso ma al quale ci si è pericolosamente abituati. Il film riflette sulla negazione e sull’indifferenza dei personaggi di fronte a una realtà che si insinua, ma che viene accettata e normalizzata.

Irene Ancora