Venezia 78 – Terzo giorno: venerdì 4

Venezia 78
THE CARD COUNTER
di Paul Schrader
Con: Oscar Isaac, Tiffany Haddish, Tye Sheridan, Willem Dafoe (112′)

Ex soldato coinvolto nelle torture di Abu Grahib, dopo otto anni e mezzo di prigione, vive da giocatore professionista grazie alle sorprendenti capacità mnemoniche. Il suo tremendo passato ritorna allorquando viene coinvolto da un giovane ragazzo che vorrebbe vendicare le violenze subite dal padre suicida, anche lui coinvolto nell’orrore delle torture. Paul Schrader, sceneggiatore e regista (HARDCORE; AMERICAN GIGOLO; CAT PEOPLE; MISHIMA; AFFLICTION; FIRST REFORMED) si muove con passo sornione su un terreno più che minato portando in scena un antieroe, il suo senso di colpa, il bisogno di espiazione e il sentimento di vendetta nei confronti della figura che incarna quel mondo militare che pur avendo approvato il peggio, non ha mai pagato nulla. Ne emerge un thriller inquietante, estremamente sobrio, che non indulge mai sul pedale della facile emozione e rifugge altresì dal mostrare in dettaglio le prevedibili scene di violenza. Notevole e ben risolta, in questo senso, la penultima sequenza nella quale la brutalità rimane fuori campo, appena evocata dal sonoro (che risulta, però, molto più inquietante e perturbante). Molto bravo Oscar Isaac che presta al personaggio principale una maschera dura e dolente al tempo stesso, tutta giocata sui toni opachi, neutri e impersonali del grigio che si ritrova sempre nel suo ambiente “domestico”.

Venezia 78
SPENCER
di Pablo Lorrain
Con: Kristen Steward, Timothy Spall, Jack Farthing, Sean Harris, Sally Hawkins (111′)

Tra la vigilia di Natale e il Boxing Day, nella tenuta reale di Sandringham si conclude una fase importante nella parabola della di Lady Diana. Regista e produttore eclettico, il cileno Pablo Lorrain (NO; JACKIE; EMA), complice la sceneggiatura di Steven Knight, lavora molto di fantasia per tentare di ricostruire, a partire da alcuni elementi di realtà, le vicende dei famosi tre giorni che segnarono una fra le scelte più forti della “principessa triste”. Ne esce un racconto che si discosta dal docudrama classico per virare verso territori più introspettivi e psicologici che tentano di ricostruire il mondo interiore e le emozioni di Diana Spencer. Una sorta di favola al contrario perfettamente dichiarata dal marcatore grafico che dà avvio al film illustrata con toni pastello e fotografia volutamente “nebulosa”. Se una cura maggiore è stata posta nella ricostruzione, ancorchè fantasiosa, della protagonista, tutti gli altri personaggi rimangono sullo sfondo, quasi macchiette di una dramma che non li riguarda. Kristem Steward si confronta con una parte non facile e non sempre sembra a proprio agio. Commenti contrastanti all’uscita del film.

Orizzonti
EL HOYO EN LA CERCA
Joaquin del Paso
Con: Valeria Lamm, Yuba Ortega, Lucciano Kurti, Erick Walker, Barajas Hamu, Enrique Lascurain, Jacek Poniedzialek (100′)

Messico estate, ai giorni nostri. Un camposcuola estivo per giovani rampolli della buona società immerso nella natura (ma a due passi da un villaggio di indigeni emarginati), si rivela un luogo di violenza fisica e psicologica dove un “sistema educativo” incentrato su un’idea aberrante della religione cattolica è asservito a una formazione basata su pregiudizi razziali, di genere e di classe. Il trentacinquenne regista di Città del Messico non nasconde la sua critica feroce alle scuole private religiose che in America Latina riscuotono successo nelle classi agiate puntando – a partire da una rigida educazione – a formare i futuri leader politici e industriali. Dal punto di vista del linguaggio si sottolinea il gran lavoro fatto sul sonoro che, da solo evoca un’atmosfera tesa ed inquietante; mentre appare senza speranza la generazione dei più giovani, facilmente preda di “educatori” senza scrupoli e naturalmente portati alla violenza come i protagonisti del perturbante romanzo: “Il signore delle mosche” o come gli studenti del film L’ONDA. Così come non si può negare che il regista abbia scelto di caratterizzare a senso unico tutti i personaggi senza concedere alcuna sfumatura. Una visione che appare, francamente, nichilista e senza speranza.

Orizzonti
A PLEIN TEMPS
di Eric Gravel
Con: Laura Calamy, Anne Suarez, Genevieve Mnich, Nolan Arizmendi, Sasha Lemaitre Cremaschi (85′)

Non più giovane, separata con marito in ritardo sugli alimenti, due figli a carico, residenza in provincia e lavoro a Parigi centro nel bel mezzo di un devastante sciopero nazionale; Julie combatte ogni giorno contro il tempo e la necessità di incastrare il lavoro, la ricerca di un posto migliore, la gestione dei figli e la contingenza della distanza casa-lavoro. Eric Gravel, qui anche autore della sceneggiatura, imbastisce un dramma sociale con la cadenza del thriller adrenalinico nel quale la protagonista è una semplice madre single. Sorprende positivamente la gestione del ritmo incalzante sin dalla prima, notevole, sequenza tutta giocata sul montaggio tesissimo cui si associa una traccia sonora molto incalzante e percussiva. La fotografia è tutta giocata sui toni freddi, laddove la protagonista emerge, invece, con cromatismi appena più accesi. Colpisce, dal punto di vista valoriale, l’accenno alla diffusa solidarietà che traspare da tanti gesti dei personaggi di contorno, mentre, per contro, il mondo del lavoro viene mostrato sempre come fonte di fratture e competizione. Ne emerge uno sconfortante quadro della contemporaneità appena mitigato da sprazzi di opportunità anche legate al mondo delle emozioni e degli affetti. Una visione che, sinceramente, provoca lo spettatore e innesca riflessioni quanto mai urgenti. Molto brava, Laura Calamy, che, al momento, a nostro avviso, risulta la migliore interpretazione.

Settimana della Critica
MONDOCANE
Di Alessandro Celli
Con: Alessandro Borghi, Barbara Ronchi, Ludovica Nasti, Dennis Protopapa, Giuliano Soprano (110′)

In un futuro distopico, Pietro vive in una Taranto degradata dall’inquinamento dell’acciaieria e dagli effetti del cambiamento climatico. Il ragazzo vive in una delle zone più contaminate della città con il suo amico Christian. Entrambi sognano un cambiamento nella loro vita, costretti a fare da schiavi a un vecchio burbero che li ha portati via dalla strada. Ben presto, le loro vite si intrecciano con Testacalda, capo delle Formiche (gruppo di ragazzi malfamati e clandestini che vivono ancora nella Taranto vecchia), e Serena, una ragazzina chiusa in orfanotrofio nella città nuova. La loro amicizia rischierà di incrinarsi con l’entrata dei due nel gruppo delle Formiche. L’opera prima di Alessandro Celli è ben riuscita: la fotografia è molto ben curata, passando da immagini pulite e nitide quando vengono ripresi luoghi della Taranto nuova, a colori saturati caratterizzati da una forte tonalità gialla quando vengono ripresi i luoghi della città vecchia, per restituire una sensazione di malessere dovuto non solo all’inquinamento, ma anche dal contesto sociale. La musica segue i momenti di tensione, incalzando sui climax ascendenti che precedono i vari momenti di spannung. Si sottolinea l’utilizzo significativo di alcuni simboli ricorrenti come il crocifisso rinvenuto in mare all’inizio del film o i nomi stessi dei protagonisti, così come il vero nome del personaggio Testacalda. Alessandro Borghi risulta molto espressivo ma in questo caso l’attenzione del pubblico si focalizza più sui due giovani attori che hanno regalato un’ottima performance.

Giornate degli Autori
SHEN KONG
di Chen Guan
Con: Ruguang Wei, Kenyu Deng (103′)

All’inizio dell’anno del topo, in una non specificata città cinese, si annuncia il lockdow. Due ragazzi vagano per le strade deserte nel tentativo di evadere dalla mesta realtà. Attraverso l’utilizzo di un linguaggio asciutto il racconto suggerisce elementi che rimandano ad una ricerca di calore come nel caso della scena centrale dove il tema è evidenziato dall’accostare la messa in scena di un rapporto sessuale con il continuo ravvivare di una fiamma. Resta sempre evidente la lontananza tra i due protagonisti, rimarcata dall’utilizzo dello split screen anche nei momenti in cui si trovano nello stesso ambiente. La fotografia predilige i cromatismi spenti e i toni del grigio e spesso l’unico colore ad emergere è il verde dei capelli della protagonista. Anche la colonna sonora restituisce il senso di vuoto fisico e interiore che avvolge la città e i protagonisti: ogni rumore sembra riecheggiare esageratamente nel silenzio della città abbandonata. Il film sembra rispecchiare una comune tendenza sociale e stimola una riflessione sulla solitudine interiore e sulla fugacità di un apparente appagamento.