Venezia 78 – Settimo Giorno: martedì 7

Fuori Concorso
LA SCUOLA CATTOLICA
Regia Stefano Mordini
Interpreti Benedetta Porcaroli, Giulio Pranno, Federica Torchetti, Fabrizio Gifuni, Fausto Russo Alesi, Valentina Cervi, Valeria Golino, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca / Italia / 106’

Basato sul massacro del Circeo avvenuto nel 1975 e ispirato all’omonimo libro premio strega 2016 di Edoardo Albinati – già sceneggiatore de IL RACCONTO DEI RACCONTI di Garrone e FAI BEI SOGNI di Bellocchio – LA SCUOLA CATTOLICA narra la vita di alcuni ragazzi liceali appartenenti alla borghesia romana. Tesi del film: è il contesto familiare e scolastico a portarli all’estremo, fino alla nota esplosione di violenza. Lo spettatore segue le vicende dei compagni di scuola degli aguzzini – narrate in voice-over da uno dei ragazzi che frequenta lo stesso liceo – e analizza nel dettaglio la loro quotidianità sociale. Realistica interpretazione di Luca Vergoni in un inquietante Angelo Izzo. Il racconto della vicenda si rivela di dubbia efficacia a causa dell’estraneità all’evento clou del film da parte della voce narrante. Le scene sono strutturate attraverso un climax ascendente generante uno stato di progressiva tensione generale che raggiunge l’apice nell’atto del massacro delle due ragazze. Il tutto è scandito da una colonna sonora quasi assente nelle sequenze finali, volta ad enfatizzare l’estremo stato emotivo nel quale deve essere immerso lo spettatore. Interessante, comunque, la presenza di un battito ricorrente che accompagna alcune importanti scene di tensione del lungometraggio. Il regista Stefano Mordini sembra cercare a tutti i costi una giustificazione alla violenza sfruttando come scusa le criticità familiari e una contraddittoria educazione religiosa imposta dalla scuola, glissando sugli aspetti politici fulcro dell’epoca. La totale assenza della visione femminile lascia l’amaro in bocca allo spettatore. Sebbene le generazioni dell’epoca abbiano particolarmente sentito la vicenda, il film suggerisce un immediato ritorno alla normalità, confermato dalla scarsa conoscenza dei fatti dimostrata dalle generazioni seguenti.

Venezia 78
LA CAJA
Regia Lorenzo Vigas
Interpreti Hernán Mendoza, Hatzín Navarrete / Messico, Usa / 92’

‘La CAJA’ (la cassa) è la storia di Hatzin, un ragazzo messicano che durante il viaggio compiuto per recuperare i resti del padre si imbatte in Mario, nel quale rivede la figura paterna. Fra i due si crea un altalenante rapporto di intesa familiare. La crescita personale del giovane si sviluppa seguendo un andamento parabolico, così come il rapporto padre/figlio, che raggiunge il culmine a metà del racconto, per poi decrescere nella seconda parte della storia. Solo negli attimi finali Hatzin dimostra la maturità acquisita, seppur tornando sui suoi passi. Il climax del racconto viene vissuto dallo spettatore attraverso gli occhi del giovane, che sono spesso ripresi in dettaglio ed affiancati a riprese di campi lunghissimi di desolati paesaggi desertici che fanno immedesimare nello stato emotivo di completa solitudine propria del protagonista. Tali sensazioni sono adeguatamente accompagnate da una colonna sonora caratterizzata da suoni in presa diretta, sotto forma di botti e tonfi ricorrenti che sovrastano i dialoghi ridotti al minimo. Colpisce la metafora visiva creata tra il parallelo del sogno di Hatzin, disturbato dal trovare un brulichio di formiche sotto il cadavere di un lupo in decomposizione e la scoperta del corpo della giovane Laura. Il regista, Leone d’oro nel 2015 con DESDE ALLÁ, porta nuovamente sullo schermo un pulitissimo esempio di cinema d’autore, caratterizzato da ritmi dilatati e pochi dialoghi, i quali permettono allo spettatore di apprezzare la sobrietà del prodotto stesso. Rimane allo spettatore l’alone di mistero intorno alla figura del presunto padre del protagonista.

Orizzonti
BODENG SAR (WHITE BUILDING)
Regia Kavich Neang
Interpreti Piseth Chhun, Sithan Hout, Sokha Uk, Chinnaro Soem, Sovann Tho, Jany Min, Chandalin Y / Cambogia, Francia, Cina, Qatar / 90’

Samnang vive con la sua famiglia nel Bodeng Sar (Palazzo Bianco) nella periferia di Phnom Penh. Il luogo racchiude tutti i momenti più significativi del ragazzo, della sua famiglia e di tutte le persone che abitano quegli appartamenti; la vicenda descrive la progressiva demolizione del Bodeng Sar e di tutto ciò che rappresenta. Racconto autobiografico, il regista, meritevole di aver portato per la prima volta in concorso un film cambogiano, sviluppa intorno alla vicenda un racconto dai ritmi molto dilatati che permettono allo spettatore di entrare nella drammaticità emotiva che i protagonisti stanno vivendo. La sobrietà e accuratezza nella fotografia fanno sì che i due piani del sogno e della realtà non si distinguano facilmente e che le molteplici metafore visive non stonino mai. Significativi a questo riguardo gli svariati parallelismi dove il progressivo deterioramento del palazzo viene accostato tanto al corpo del padre del protagonista, in cancrena, quanto allo sfaldamento dei rapporti affettivi che lo circondano. I movimenti di macchina, sempre puliti per la durata del film, esprimono tutto il turbamento emotivo del regista nell’unica sequenza, in camera a spalla, della demolizione del palazzo girata interamente in una carrellata orizzontale con un’esaltazione sonora dei colpi di ruspa. Commovente l’esplicita citazione a STILL LIFE di Jia Zhangke, Leone D’Oro nel 2006 (il cui regista figura tra i co-produttori di quest’ opera), particolarmente evidente nel rendere il palazzo il vero protagonista della narrazione. Difficile, ma valido.