COUP DE CHANCE di Woody Allen

Con Lou de Laâge, Valérie Lemercier, Melvil Poupaud, Niels Schneider

(Francia, Regno Unito)

(93’)

(Fuori Concorso)

L’Allen parigino non è mai stato così pragmatico e razionale e tragico come qui in Coup de chance, suo cinquantunesimo film da regista, primo ad essere girato in lingua francese. Alla componente onirica e surreale finanche magica e immaginifica, sorprendentemente in quest’ultima sua opera s’incontra uno sguardo disincantato e spietato, rigoroso e imperturbabile nei confronti delle cose serie della vita, un po’ come accadeva nei cupi e tragici film londinesi.
Si ride poco, quasi per niente, non ci sono feste in maschera, nostalgiche danze volanti notturne lungo la Senna sulle note di I’m Through With Love, l’aria non è funesta ma lascia presagire l’incombere di un inatteso cambiamento che deve sparigliare l’ordine delle cose e innescare il caos.
La vicenda è molto semplice e lineare: Fanny (Lou de Laâge), impiegata in una casa d’aste, sposata con il facoltoso Jean (Melvil Poupaud), un giorno incontra per strada Alain (Niels Schneider), scrittore sbarazzino, suo compagno di classe al liceo frequentato a New York; i due iniziano a frequentarsi sempre più innamorati l’una dell’altro montando i sospetti del marito che medita una vendetta; l’intervento della madre di Fanny, Aline (Valérie Lemercier), risulterà decisivo per ricomporre un sostanziale equilibrio non privo di colpi di scena. Tutto qui. Chi siamo e chi vorremmo essere. Cosa abbiamo e cosa vorremmo avere. Cosa tratteniamo e cosa rigettiamo. Non c’è il romanticismo di Magic in the moonlight, o la malinconica dolcezza che attraversava Cafè Society ma solo la casualità, con i suoi capricci, e la premeditazione, con le sue manie. Per tale ragione, oltre che ad essere orchestrato da una regia che conferisce ritmo e respiro (si pensi alle numerose scene a Campo di Marte che collidono con la chiusura asfittica delle scene in interni), il racconto è schietto e preciso, incastonato in una struttura tripartita che la fotografia di Vittorio Storaro esalta deformando e scaldando con i gialli il nido d’amore mansardato in cui si ritrovano Fanny e Jean, raffreddando con i blu il lussuoso e austero appartamento in cui Fanny vive con Alain.
È un Allen filosofico ma più autentico di Irrational man dove il Dostojevsky di “Delitto e castigo” lascia posto a Simenon.

Matteo Mazza