HARÀ WATAN (Lost Land) – Akio Fujimoto

Con: Shomira Rias Uddin Muhammad, Shofik Rias Uddin

(Giappone, Francia, Malesia, Germania; 99’)

(Orizzonti)

Un viaggio della speranza verso un futuro migliore attraverso gli occhi di due bambini, simbolo di innocenza e purezza. Hara Watan tratta il tema dell’emigrazione del perseguitato popolo Rohingya presentandoci i due fratelli Somira e Shafi, di 9 e 4 anni: il loro obiettivo è cercare di raggiungere il lontano zio in Malesia, avendo come unico riferimento, ingenuamente, un grande albero di mango.

La narrazione si suddivide in due parti: la prima, di stampo quasi documentaristico, che ispira echi dal recente Io Capitano di Matteo Garrone, mentre la seconda sposta l’attenzione sul rapporto tra i due fratelli e il loro modo di vedere il mondo, anche inserendo elementi di fantasia.

Proprio la fanciullezza è la chiave di volta per cambiare il destino dei protagonisti: esplicitata nella sequenza della fuga dalla gabbia dove sono imprigionati scivolando tra le sbarre troppo grandi per loro; un limite per l’adulto ma non per un bambino.

Da questo momento il punto di vista della camera, si abbassa al livello dello sguardo dei protagonisti; una scelta stilistica del regista per restituire allo spettatore l’esperienza immersiva del racconto procedendo per identificazione quasi fino al punto di renderlo un terzo personaggio che si unisce al loro cammino.

Harà Watan rappresenta il viaggio della speranza per eccellenza, l’emigrazione, raccontato con leggerezza e ingenuità uniche: è forse proprio grazie a questo che Somira e Shafi rimangono così a lungo uniti, sognando con tutte le loro forze l’albero di mango.

Arianna Bruschi e Gabriele Canevari