LUBO di Giorgio Diritti

Con Franz Rogowski, Christophe Sermet, Valentina Bellè, Noemi Besedes, Cecilia Steiner, Joel Basman, Filippo Giulini, Alessandro Zappella

(Italia, Svizzera)

(175’)

(Venezia 80)

Il film segue la storia di Lubo Moser, artista di strada appartenente al gruppo Jenisch, formato da famiglie di nomadi di origine germanica, perseguitati scientificamente nella confederazione elvetica dal 1926, con sistematico programma eugenetico attuato attraverso campagne di sterilizzazione, divieto di matrimonio, sequestro dei figli.
In un incipit carico di indizi, Lubo, con la sua famiglia, si esibisce in un villaggio del Cantone dei Grigioni, mettendo in scena una caccia all’orso che si conclude con un travestimento a sorpresa. È l’itinerario narrativo che Diritti farà seguire allo spettatore raccontando la storia di un personaggio costretto a mutare identità alla ricerca di una giustizia a sua volta camaleontica. In questo gioco di specchi lo stesso spettatore viene più volte spiazzato da azioni che sembrano contraddire il profilo fino a quel punto costruito.
La vicenda della ricerca dei propri figli si sviluppa in tre fasi: quella iniziale del 1939, quella centrale del 1951 e l’epilogo nel 1959, in una Odissea costellata di mutazioni, incontri, reiterazioni di situazioni simili a suggerire a suggerire un sistema radicato e labirintico finalizzato alla protezione della casta dei veri potenti.
Tratto dal romanzo “Il Seminatore” di Mario Cavatore, il film denuncia l’ennesimo capitolo poco noto della storia europea di violazione istituzionalizzata dei diritti delle minoranze. “Ho scelto questo soggetto per riflettere sul senso di giustizia, sulle istituzioni, sul senso dell’educare e dell’amare”, dichiara lo stesso regista.
Un’opera che malgrado l’impegnativo minutaggio, riesce a coinvolgere, grazie alla fotografia di montagna, sempre curata nei lavori di Diritti (Il vento fa il suo giro – 2005, Piazzàti – 2008) e all’ottima interpretazione di Franz Rogowski. Efficace la sceneggiatura ad incastro sostenuta da un buon ritmo narrativo.

Nadia Ciambrignoni
Fabio Sandroni